di Susanna Ciacci
Arriva inaspettato, a volte devastante quanto improvviso. Oppure si insinua lentamente nella nostra vita fino a farcene sentire sommersi, incapaci di reagire, di immaginare una via d’uscita. Spesso scatenato da un evento che non eravamo stati in grado di prevedere o che forse conoscevamo fin troppo bene, senza per questo riuscire a farcene una ragione. In ogni caso la prevedibilità dell’evento doloroso non è sufficiente a metterci al riparo dalla insostenibile sensazione di totale perdita di senso che invade la nostra anima quando siamo colpiti da un evento doloroso o traumatico. Una separazione, un lutto, un cambiamento radicale …. e il dolore diventa quel filtro grigio ineludibile che scolorisce ogni nostro sentire e che ci “separa” dal resto del mondo e della vita.
Elemento imprescindibile delle nostre esistenze, ogni essere umano deve prima o poi confrontarsi con il dolore; quando tutto va bene, almeno con quella relativa all’angoscia della morte, realtà di cui prendiamo sempre più consapevolezza con la maturità e la vecchiaia. La paura è l’inseparabile compagna del dolore poiché l’evento doloroso ci obbliga ad affrontare forzatamente l’ignoto della nuova condizione esistenziale che, nostro malgrado, andiamo a vivere. La perdita, già in sè dolorosa, ci obbliga a confrontarci con il nuovo che ci aspetta. Quanto più l’oggetto della nostra perdita “appartiene” alla nostra vita, tanto più ci troveremo faccia a faccia con la paura del cambiamento esistenziale che dovremo affrontare.
Il dolore è indissolubilmente legato al sentimento della perdita - di una persona cara… della salute… della casa… di beni materiali… della posizion sociale… della nostra identità - fatta anche di riferimenti, punti fermi e ricorrenti nelle nostre vite. In qualunque sfera (sociale, professionale, affettiva…) la perdita di questi riferimenti ”sicuri” ci destabilizza e provoca in noi la sensazione di perdere, insieme a ciò che non è più, anche noi stessi. Ci ritroviamo spaesati a dover ricostruire, neanche noi sappiamo bene cosa, in ogni caso la nostra vita.
IL CORPO E L’IMMAGINAZIONE
In questi momenti in cui ogni contatto col mondo e con noi stessi (al di fuori della nostra sofferenza) appare interrotto, potrebbe essere di aiuto tornare al corpo e alla nostra fisicità, prove concrete del nostro “essere” , che soli ci mantengono collegati al nostro “esistere”. Il corpo è il luogo in cui tutta la nostra storia è narrata e leggibile, specchio del nostro vissuto più profondo. Troppo spesso dimenticato, trascurato, strapazzato, vissuto come estraneo a noi. Nel momento della sofferenza IL riferimento, tra tutti quelli persi, resta il nostro corpo; riconosciamolo come amico e come nostro potente alleato nel ritrovare un po’ il nostro centro. Utilizziamolo, muoviamolo, lasciamoci muovere….. facciamo qualunque cosa ci aiuti ad aumentarne la percezione e la consapevolezza. Rendiamolo vivo ! e lui ci ripagherà.
Magari concediamoci ogni giorno una mezz’ora in cui offrirgli tutta la nostra attenzione, cominciando dal respiro : è corto… profondo… superficiale…. Lasciamolo fluire spontaneamente, solo ponendo attenzione alla sensazione dell’aria che entra in noi e fluisce dalle narici ai polmoni; restiamo concentrati solo sulle nostre sensazioni fisiche : quale sensazione fisica emerge in primo piano su tutte?… cosa può volermi dire?…come sta in questo momento il mio stomaco… la nuca …..dove sento la mia paura….di che colore è….dove sta il mio dolore e se dovessi dagli una forma e un colore come li immaginerei ?….. Lasciamoci guidare dall’immaginazione e dall’intuito senza avere paura di essere stupidi o ridicoli anzi, se abbiamo tempo, disegnamo veramente ciò che abbiamo “visto”, diamogli forma e colore, oppure trasformiamolo in una poesia o in un racconto fantastico.
COMPRENDERE IL DOLORE, ACCETTARLO, CONDIVIDERLO
Sembra paradossale ma non possiamo superare il dolore se non vivendolo a fondo. Non cerchiamo di “dimenticare” perché nulla può essere realmente cancellato dalla nostra memoria ma anzi, se rimosso, continua ad agire attivamente in noi attraverso le vie dell’inconsapevolezza anziché della coscienza. Di fatto poter dimenticare è solo un’illusione e, come tale, non difende dal dolore. Se non attraversiamo consapevolmente il mare del nostro dolore, questo prima o poi tornerà a manifestarsi in qualche forma.
Accettiamo il nostro dolore, accettiamo noi stessi e la nostra fragilità. Lasciamoci aiutare, affidiamo il nostro dolore ad orecchie ed occhi che sappiano ascoltarlo e guardarlo con compassione (cumpatire significa proprio soffrire insieme), confidiamo il nostro dolore a qualcuno in grado di accettare noi e la nostra sofferenza. Non svanirà, ma ci darà sollievo il condividerla con un essere umano capace di accoglierla senza “commentare”, senza volerci consolare a tutti i costi invitandoci a “distrazioni” che ci farebbero stare ancora più male. Questo atteggiamento, per quanto adottato in buona fede e a fin di bene, ci farebbe sentire ancora più incompresi e soli. La partecipazione autentica si limita ad offrire il calore della propria presenza nell’accettazione totale dell’altro e dei suoi sentimenti.
Solo questo ci può aiutare, col tempo, a ritrovare la gioia di vivere e il senso della nostra vita nel presente, senza dimenticare il passato ma anzi, traendone nuova forza e consapevolezza nel senso ritrovato del nostro cammino.
IL DOLORE: LA PERDITA DI SENSO DELLA NOSTRA VITA, LA PAURA DEL CAMBIAMENTO
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